Le poche cose

Danila Giancipoli
4 min readJun 8, 2022

Potrei scegliere citazioni importanti, cose che hanno detto gli altri, per descrivere momenti che poi alla fine, erano belli pure prima ma c’erano un sacco di nuvole e non si vedeva bene niente.

Se non mi muovo troppo il tavolo non traballa, il computer rimane stabile, e se mi concentro abbastanza riesco a godermi le tracce che ho scelto per la mia prossima lezione di yoga. Sfioro l’orologio che mi ha regalato lui, con il pollice e l’indice, perché è largo e quando scrivo lo devo togliere. Quindi sta qui, al fianco delle parole che mi hanno chiesto di buttarsi sul bianco. Prima non lo avevo capito, ma avevo tutto. Prima non lo avevo capito, ma avevo la torta morbida e affettata, calda e profumata, fragrante. Prima non lo avevo capito, ma la semplice esistenza delle cose era fondamentale. Prima non lo sapevo, forse, se proprio mi voglio giustificare. Ma la semplice essenza, ed esistenza, di ciò che ami, riesce a montarti dentro un balsamo per il cuore. Capace di farti vedere la vita come il parco giochi più avventuroso di sempre. Ti fa comprare edizioni diverse delle poesie di Prévert. Ti fa rimanere. E ti fa prenotare biglietti per volare lontano. Ti fa sentire invincibile e protetto. Ti fa cominciare le giornate aspettando il sole. Poggi la tazza di caffè sul tavolo bianco del balcone e ti chiedi come sia possibile avere davanti tanta bellezza, pure se la verità è che dormi dove mangi. Cosa che ho già detto, ma che un giorno forse sarà qualcosa di speciale da raccontare. Sono le venti, secondo spritz e cuffiette alle orecchie. Sono nel bar più semplice di Roma sud. Si conoscono tutti, tutti tranne me. E hanno tutti un sacco di figli che si salutano pure, tutti tranne me. Ma no, non è questo il punto. Il punto è che la vita ti si schianta addosso a un certo punto e ti informa di cosa sarebbe normale che accadesse. Vedi mamme bellissime con i capelli più pettinati dei tuoi, gonne più corte delle tue, borse grandi e tatuaggi sulla pelle già abbronzata. No, non è che vorresti essere come loro. E’ che comincia a dipanarsi quella nebbia strana che stava tra te e le scelte che non hai fatto, o che non vuoi fare, o che non sei ancora pronto a intraprendere. La verità, comunque, è che uno segue il suo intuito e il suo istinto, e che è meglio che lo faccia senza vergogna. Perché un conto, è accogliere la vita e dirle “ho capito”. Un conto è continuare a fingere che le giornate non siano la ballata del caos. Che il tuo fidanzato non debba barcamenarsi tra lavoro, figli e altre dieci cose diverse. Un conto è dare per scontato che venga a bussarti alla porta per amarti, un conto è considerarlo un gesto d’amore senza precedenti. Un conto è leggere un libro che ami prima di andare a dormire, un conto è chiudere gli occhi e aspettare la notte perché le paure hanno vinto. Un conto è andare a mangiarsi un boccone fuori, un conto è rimanere a casa chiedendosi in quanti metri quadri è possibile essere felici. Un conto, è vedere la felicità come un evento da accogliere, un conto è accusarla di non essere costantemente presente per salvarti dalle tue insicurezze. Ed è normale, è normale chiedersi “cosa mi manca?”. E’ fisiologico. Avviene quando smetti di dare valore a quello che hai costruito con fatica, ma non perché non sei capace. Avviene semplicemente perché ogni tanto abbiamo bisogno che qualcuno ce lo ricordi. Sì, siamo esseri umani. Non c’è un cazzo di strano o sbagliato in questo, e prima lo capiamo meglio è.

Sono felice, sì, sono felice perché ho scelto di lasciare il dolore sulla soglia della porta principale. Ci salutiamo, ci guardiamo, io, lui, e tutti i fantasmi che sono rimasti finora. Non vedo più un domani comodo e confuso. Vedo un domani dove il caos è alleato. Dove più siamo meglio è. Dove la parola famiglia ha senso, e ne ha uno più ampio e più speciale. Vedo libri. Vedo treni. Vedo case. Vedo giardini. Vedo incensi bruciati. Ma più di tutto, vedo le mie paure camminarmi accanto perché senza di loro non avrei fatto nulla. Vi odio con tutta me stessa, e avete distrutto la maggior parte delle cose che amavo. Mi avete reso vulnerabile pure di fronte a chi mi amato con tutte le ossa. Vi ho ascoltato, e l’ho negato, e non ho mai frenato quando avrei dovuto. Ho imparato schiantandomi. Nel peggior modo possibile. Senza cintura. Senza air bag. Semplicemente c’era un albero dalle radici spesse e dalla corteccia dura. E l’ho abbracciato.

Dopo non si chiede scusa. Dopo si cammina strisciando fino a quando non si impara di nuovo a camminare. Nel frattempo, il sole se ne va, ci sono tre famiglie che fanno un gran casino. Zanzare senza contarle. Spotify ha messo la mia traccia preferita della playlist che ho preparato. I cinque racconti me li sono segnati. Potrei scrutare l’orizzonte, ma alla fine, l’unica cosa che voglio è perdermi nelle cose che amo. L’unica cosa che voglio, è non fermarmi. L’unica cosa che voglio, è amare forte. Oh sì, ogni giorno costantemente. E gridarlo. Perché comunque, non puoi perdere una cosa che non è mai stata tua. Ma se è il contrario, allora lottare tutti i giorni va bene.

Ho le gambe allenate per questo. E il cuore pure.

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