Il libro che Trump non potrà mai scrivere e le condizioni dell’inevitabile

Danila Giancipoli
4 min readJan 7, 2021

Non possiamo continuare a riportare sempre le stesse cose, non è esattamente quel tipo di situazione o di occasione in cui il comunicato stampa gira e tutti copiano, incollano. Se il 2021 ha sancito l’inizio di qualcosa, per me sancisce la responsabilità che ogni persona o giornale si prende nell’esporsi pubblicamente su questo girone dell’inferno che è il web. Per questo faccio una smorfia quando scrollando Instagram trovo cinque notizie uguali sullo sciamano che ha guidato la rivolta di Capitol Hill. Per questo scuoto la testa se invece inciampo in immagini che gridano al golpe.

Sinceramente credo che un golpe debba avere un obiettivo quantomeno, credo che qualcuno debba cercare di impossessarsi del potere. Io però, in tv ho visto gente entrare al Congresso e scattare delle foto, facendomi tornare alla mente le lontane gite scolastiche.

Attacco a Capitol Hill, manifestante. Credits: John Minchillo/AP

Insomma, male non farebbe moderare i termini anche con il rischio di sembrare una “notizia qualunque”. Quando leggo un commento in cui una persona X dice che Obama ha fatto più guerre di qualsiasi altro presidente, o che ha fatto di tutto per minare le fondamenta dell’Italia, io non vorrei mai essere nei panni di X. Non pretendo, da cittadino italiano, di possedere e poter sfoggiare una tale conoscenza della cultura americana, tantomeno esprimo sentenze su processi diplomatici a cui non ho preso parte. Certo, non che gli americani fossero tutti contenti quando c’è stato il Vietnam, ma almeno non c’era Twitter. Chi doveva prendere delle decisioni lo faceva, e chi doveva fare giornalismo si metteva uno zaino in spalla e prendeva parte al conflitto. Nessuno poteva prendersi il lusso di peccare di onniscienza dalla propria poltrona, neanche con tre lauree in relazioni internazionali. Per quel che so, la conoscenza di un paese è oggetto di studio, è una questione culturale e come tale anche una questione di rispetto. E qui entra in campo il giornalismo, la politica, dove questi ingredienti permettono equilibri in un contesto dove preservarli è un lavoro a tutti gli effetti, e non il passatempo di una persona qualsiasi che ha un account Facebook.

Prima di ricevere la notifica del New York Times, ieri mi ero finalmente decisa a cominciare Una Terra Promessa, il nuovo libro di Barack Obama. Il mio regalo di Natale. Con mia enorme sorpresa (pure se ci speravo) ho cominciato a divorarlo, chiedendomi ogni cinque minuti “cosa scriverebbe Trump della sua vita? Qual è la sua conoscenza sulle problematiche sociali all’interno delle comunità americane più povere? Ha mai parlato faccia a faccia con donne che campano di sussidi per mantenere i figli? Si è mai interessato davvero alle storie dei suoi elettori?” E mentre un giovane Obama decideva di andare a studiare legge, mi sono ritrovata a sottolineare frasi che mi ricordavano i momenti più delicati delle mie scelte personali e professionali. Quando i suoi compagni lo deridevano per il suo spirito ottimista e di larghe vedute sociali, lui sentiva di perdere colpi, ma non mollava. Nelle sue intenzioni giovanili, come in quelle più adulte, non sussiste una rivalsa sull’altro. Anch’io mi faccio delle domande, mi chiedo dove voglio arrivare scrivendo le mie riflessioni, o commentando la cronaca a favore o alla luce di determinati fatti. Ma col tempo, ho dovuto imparare una cosa importante, difficile da digerire: impariamo l’arte del giornalismo e della scrittura da grandi maestri che hanno vissuto in maniera completamente diversa da noi il mondo della comunicazione, o il mondo in generale, la pace o le guerre.

E’ un po' che cerco di approfondire quelli che possiamo chiamare gli effetti collaterali della democrazia. Se da una parte possiamo credere alle teorie del complotto, allo stesso modo una forma di democrazia è Facebook che decide di bannare Trump dai social per due settimane. Una cosa che in Cina non potrebbe mai succedere, capite? E’ qui che la parola libertà comincia ad annaspare, incontrandosi con i suoi benefattori e carnefici. Ed è qui che dobbiamo fare attenzione per evitare che l’opinione pubblica venga costantemente manipolata o danneggiata. Per questo ho scritto di Alexandria Ocasio-Cortez analizzando il suo modo di usare i social, per invitare le persone a prendere sul serio le nuove spartizioni del potere politico. E se con Trump ne avessimo vista solo la punta dell’iceberg?

Quando avevo 18 anni leggevo Niente e così sia di Oriana Fallaci nascondendolo sotto il banco, non sapevo davvero niente del Vietnam e nessuno me lo avrebbe spiegato. Sono sempre stata grata ai libri, perché hanno riempito le lacune della pigrizia dei miei docenti. La conoscenza non è scontata, la cultura costa, l’intelligenza è un dono. Non dico che dobbiamo giustificare gli atti violenti, dico che dobbiamo provare a capirli, che è diverso. E’ l’America, direte. Io vivo in Italia, dove ci sono tanti altri problemi, direte. Siamo in piena pandemia, mi viene da aggiungere, e forse siamo tutti uguali di fronte all’inevitabile. E anche tutti parte dello stesso entusiasmo, quando qualcosa di accomuna.

Oriana in Vietnam.

Finirò il libro di Obama non solo per lasciarmi affascinare, ma per provare a capire una grande potenza e le sue leggi. La sottolineatura alla quale sono affezionata di più, per ora, sono queste tre parole: l’audacia della speranza.

Il 20 gennaio è vicino, comunque.

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