I mostri e ancora i mostri

Danila Giancipoli
4 min readNov 25, 2022

Parole difficili da dire, da stupro a gaslighting

Il motivo per cui mi siedo qui questa sera è perché ho aspettato tutto il tempo di farlo. Fortunatamente ci sono giorni come questi, che ti ricordano di rimettere la pellicola in moto e rivangare le tue lotte, le tue sconfitte, le tue notti insonni, la violenza che non hai mai chiesto. Oggi è 25 novembre, la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Ma c’è una cosa che accade, le vite. Costantemente, e siamo così impegnati dal lavoro, dai sogni, dalle responsabilità, che ci dimentichiamo quali sono le ferite che possono aprirci il petto. Così impegnati, che forse smettiamo di distinguere il male dal bene. Accade, dicono. Arranchiamo in una confusione virale e pericolosa, per colpa della quale un giorno come questo in fondo sembra un giorno come tanti altri.

Sui social si grida a gran voce, oggi. Ma non basta. Vediamo solo parole scritte più grandi, e citazioni, e tutto è così visivo e bidimensionale. Invece, nelle case, tra le mura, c’è chi in questo momento sta piangendo. Forse troppo forte, e forse molto piano per non farsi sentire. Perchè altrimenti, qualcuno arriverebbe a colpire più forte. La normalizzazione di eventi traumatici e ingiusta, ma è la quotidianità del nostro tempo. Vi assicuro, che un livido sulla testa non rimane per qualche ora. Rimane per sempre. Vi assicuro che, come una strana melodia sorda, ci sono parole che non se ne vanno mai. Muori, troia. Non se ne va mai. E vi posso garantire, che è facile confondere l’amore da una condanna a morte.

Arrivare a pensare che se non te ne fossi andata, forse a quest’ora saresti morta, non è un pensiero comune. L’irrazionalità della violenza ha radici importanti, e questo va compreso. Ha radici antiche, storiche, culturali, sociali, mediatiche, politiche. E’ una roba così spessa, che non è difficile trovare messaggi o commenti di chi augura alle donne di essere stuprate. Questo è il mondo in cui respiro, un mondo dove la violenza verbale e fisica viaggia sullo stesso binario. E dove ormai, parlare da sopravvissuta, è visto come un modo per attirare l’attenzione o un modo per spolverare femminismi, che molti non sanno nemmeno cosa siano. Ci si riempie la bocca di giudizi, senza aver fatto forse esperienza di nulla.

Lasciamo che siano le persone con l’esperienza a parlare. Diamo a queste donne i microfoni, i giornali, le tv, i libri, i palchi. Raccontiamo ai nostri figli, o ai figli di chi amiamo, che la violenza non è mai una risposta. E che il sesso senza consenso è stupro. Che non sarà l’ebrezza dell’alcol a giustificare uno stupro di gruppo. Che in primis, lo stupro non è giustificabile.

Forse molti non sanno, che a volte ci vogliono anni per prendere consapevolezza di una violenza subita. Che ci sono donne, capaci di metterci un tempo indefinito a dire la parola “stupro”. La verità è che sarebbe molto più bello far finta che non sia mai successo, o pensare che abbiamo capito male. Che ce lo siamo immaginato. Forse molti non sanno, che una percentuale veramente grande di stupri avviene nell’ambiente domestico. Questo, in poche parole, vuol dire che qualcuno di molto vicino a te se non la persona che dovrebbe amarti, può violentarti. Sì, si chiama stupro. Anche se non è un estraneo, anche se non indossavi quella famosa gonna corta di sera che ormai abita l’immaginario collettivo di tutta la nostra limitata società.

Negli ultimi due anni ho scritto di ghosting, gaslighting, stupri, stupri di guerra, revenge porn. E poi ho cominciato a scrivere un libro che parlava anche di violenza, in particolare del Gaslighting, un tipo di violenza psicologica basata su manipolazione e asservimento, che in uno stadio più avanzato arriva a comprendere abusi fisici oltre che emotivi. Quando le persone mi sentono pronunciare queste parole, pensano che io mi sia ispirata a qualche rubrica di cosmopolitan, dove piace dare nomi angolosassoni alle cose. Ma non è così. Esiste un’ampia letteratura straniera e scientifica dedicata a fenomeni come questo.

Vi riporto un estratto del mio libro:

Scrivendo si diventa passionali nei confronti di qualcosa che sappiamo di poter trasformare in oro. Sì, il dolore può trasformarsi in oro, se solo ci vengono dati gli strumenti. E non pensate che servano soldi o miracoli. Serve cultura, banalmente. La cultura parla alle persone e le rende libere. E come può esserci libertà in una cultura che fallisce nel dare un nome alle cose? Prendere in prestito termini anglosassoni per giustificare la presenza di fenomeni, diffusi o circostanziali, è già sintomo di una verità tangibile e piuttosto amara: in Italia manchiamo di letteratura scientifica, condivisione, e riconoscimento di tutti i nuovi fenomeni legati agli abusi motivi e all’abbandono: ghosting, gaslighting, love bombing, … Manca il collante, ovvero l’educazione al cambiamento e alle nuove forme di approccio relazionale. Quanti di voi hanno subito abusi senza riuscire mai a dargli forma? Quanti hanno nascosto nell’armadio le risposte mai ricevute, i perché mai risolti, gli episodi di violenza mai spiegati? Quanti non sanno cosa vuol dire anche una sola delle parole che ho citato? La risposta risiede in un aspetto molto spinoso del nostro attuale mindset: mettiamo in atto processi di normalizzazione dei problemi relazionali, sia per colpa del grande tabù legato al supporto psicologico sia a causa di una dilagante superficialità dei mezzi informativi. E’ importante capire che situazioni come il ghosting e il gaslighting sono fenomeni sociologici. Come tali, hanno tentacoli ben a fondo nelle dinamiche di relazione (fisiche e virtuali), nelle disuguaglianze di genere, e sono figli di comportamenti messi in atto da profili psicologici noti.

Anneghiamo ancora nei tabù, nei titoli dei giornali che parlano del gigante buono e della principessa accoltellata. Siamo bombardati da un giornalismo inesistente che non sa chiamare le cose con il loro nome, che a costo di sperperare like costruisce castelli di ignoranza. Lasciate perdere, e chi può chieda aiuto.

Denunciare il vostro mostro è una responsabilità. I mostri chiamano solo mostri, e ancora mostri.

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