Dickens, i fantasmi, Maggie e una grande missione

Danila Giancipoli
4 min readDec 11, 2020

«Era il tempo migliore e il tempo peggiore, la stagione della saggezza e la stagione della follia, l’epoca della fede e l’epoca dell’incredulità; il periodo della luce, e il periodo delle tenebre, la primavera della speranza e l’inverno della disperazione. Avevamo tutto dinanzi a noi, non avevamo nulla dinanzi a noi.» Charles Dickens, Le due città, 1859.

A prescindere da tutto

Abbiamo il dovere e la responsabilità di procedere con la nostra storia, anche se non abbiamo fede, al di là delle questioni di principio. Il destino della produttività viaggia di pari passo con l’evolversi e il progredire di una letteratura romantica, visionaria e scientifica allo stesso tempo. Siamo parte della stessa macchina, che da sempre vive di gerarchie, violenza e movimenti di massa. In questo momento tutte le nostre rivoluzioni confluiscono in pareti virtuali dove è difficile comprendere la concretezza di un pensiero, dove è necessario seppur complesso provare a costruire industrie, ponti e idee. Ho cominciato l’avventura della vita con la pandemia parlandovi del diritto alla paura, adesso credo che i tempi siano maturi e difficili a sufficienza per portare avanti la battaglia della consapevolezza. “Il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità” diceva Pier Paolo Pasolini. Non possiamo lasciare che l’opinione pubblica si annerisca a causa del veleno dello scetticismo, che venga indebolita dalle mere considerazioni populiste. Il vaccino non è un’app, non è Immuni. Necessita di ricevere lo stesso trattamento che riserviamo alla prevenzione, alle cause sociali, ai conflitti internazionali, alla politica, quella buona e quella cattiva.

“Quando ho incominciato a scrivere per Der Spiegel, di cui in Germania un numero veniva letto da sei milioni di persone - sai, scrivi una cosa invece di un’altra e sposti l’opinione pubblica - questa mi pareva una grande missione” Cit. Tiziano Terzani da La fine è il mio inizio.

Immagino ci sia stato un tempo

In cui nel giornalismo vigeva una fedeltà ossessiva ai dettagli, un attaccamento al reale frutto di una responsabilità sentimentale, doverosa. Esattamente come dice Terzani a suo figlio Folco poco tempo prima di morire, scrivere sposta una grande montagna chiamata opinione pubblica. Fare informazione sulla pandemia, sugli effetti del covid-19 e sul futuro possibile, è necessario, giusto, e richiede a questo giro una grande dose di competenza.

Miliardi di soldi e risorse sono stati impiegati affinché in nemmeno un anno venisse messo a punto un vaccino per contrastare una pandemia che ha sgranocchiato e risputa fuori tutt’ora le superfici più spesse della nostra economia. Alcuni dei nostri cari sono morti, rendendo tristi le persone che amiamo. Altrettanti nostri affetti vivono a rischio, o lo sono già. Se non è nella scienza che vogliamo credere, almeno crediamo nella vita. Se vi permettete di credere in un Dio dall’esistenza dubbia, abbiate almeno un po’ di fede nel progresso. Non è il momento dello scambio di opinioni su Twitter, è il momento dei dati e della sperimentazione. Sperimentiamo il nostro presente per investire sul futuro: forse così potremo tornare ad abbracciarci, baciarci, volerci, lasciarci e ritrovarci nello stesso modo bizzarro in cui l’abbiamo sempre fatto prima del 9 marzo 2020. Come ci ha chiesto di fare il geniale Stephen Hawking, guardate le stelle invece dei vostri piedi.

Citare Dickens era l’unico modo per abbracciare il lato positivo di una situazione irrimediabile. Ritrovarsi nella letteratura è un privilegio di cui solo l’uomo può avvalersi sfruttando una sua grande dote che è l’empatia. Nonostante il 2020 non abbia nulla a che fare con la Rivoluzione francese, come dare torto a Charles? Il limbo tra cosa è peggio o meglio racchiude in sé un’innata capacità di dilaniare. Un giorno speriamo nel vaccino, il giorno dopo nell’immunità. Ci hanno istruito a seguire la curva dell’Rt, ma nessuno dice a voce alta che i dati per contrastare la pandemia non ci sono. La geopolitica delle risorse sanitarie ci ricorda l’importanza e la stratificazione del potere, e la necessità di affidarci ad esso. Dove la Cina non arriva, troveremo la Russia, poi gli Stati Uniti e così via. Dove il senso di espansione dovrebbe stratificarsi e rinforzarsi, Austria, Paesi Bassi, Danimarca e Svezia avevano già avanzato a maggio le loro perplessità nei confronti di un riassetto del bilancio europeo. E nonostante Margaret Keenan (la prima persona autorizzata ufficialmente a farsi somministrare il vaccino Pfizer/BioNTech) abbia fatto discreta notizia, pare non sia sufficiente l’evidenza a scalfire l’occhio lungo del negazionismo. Eppure l’8 dicembre avremmo dovuto invece brindare, come dovremmo farlo alle porte del 15 gennaio quando pare arriveranno le prime dosi in Italia. Mi piace pensare che grazie al vaccino non moriranno altri 222 medici. Mi piace pensare che torneremo a coltivare occupazione, speranza, economia e prosperità. In contesto nazionale, europeo, mondiale.

Quando Dickens scrisse Canto di Natale

Pare gli interessasse relativamente dipingere le gioie della classe borghese. Il suo scrupolo era descrivere le condizioni di una classe povera e analfabeta, suscitare compassione, denunciare gli abusi e lo sfruttamento. Ebbene: il potere di raccontare storie, forse non lo sapete, ma sta nel raccontarci bene cosa c’è dietro. Notate bene, Ebenezer Scrooge affronta i suoi fantasmi e decide di vivere tutti i suoi prossimi natali aiutando e amando il prossimo. E’ quindi possibile comunicare verità e speranza nello stesso libro, nello stesso contesto.

Sono quasi le undici

In questa stanza si sente ancora l’odore di incenso misto a caffè, metto via i libri e mi riprometto che tornerò a scrivere di questo e per questo. Quando quello che amiamo chiede di essere difeso, credo abbia senso tirare fuori le nostre migliori armi, qualsiasi esse siano, e foderarle con un briciolo di coraggio. E stavolta sono proprio le parole che possono fare la differenza.

Scegliamole e usiamole con cura, il momento della retorica è finito.

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